Il velo di Maya allebonicalzi

IL VELO DI MAYA – AL DI LÀ DI UN RITRATTO SFOCATO

Quello che vado a presentarvi qui è un progetto in fìeri che ha esordito durante lo scorso incontro di AITOcLAB (il laboratorio fotografico collettivo aperto a tutti, che tengo a Villa Guardia il terzo martedì di ogni mese). Il velo di Maya è un’indagine sullo sguardo e sull’identità.
Il-Velo-di-Maya-allebonicalziL’idea di base è andare al di là dell’ovvio, mettendo alla prova le ‘regole del gioco’ cui siamo abituati. In fotografia, certo. Ma anche nella vita!
Il tema è lo sguardo e la sua relazione privilegiata con l’identità personale.
L’esperienza è quella di farsi ritrarre bendati.
Lo strumento linguistico è un ritratto fotografico fuori fuoco.
Il titolo, Il velo di Maya, allude al concetto filosofico del disvelamento della verità e alla fatica esistenziale di vivere (spesso? sempre?) tra le apparenze. Obnubilati. Ciechi.

«Noi siamo ciechi nella misura in cui vogliamo esserlo.» Maya Angelou

IL VELO DI MAYA: TRA VERITÀ E MENZOGNA

Originariamente, in sanscrito, māyā sifgnifica ‘creazione’, significato ben presto sostituito da quello di ‘illusione’. Il velo di Maya come stato esistenziale dell’umanità è un concetto che giunge in Occidente nella prima metà dell’Ottocento con la filosofia di Arthur Schopenhauer (la cui opera più importante, non a caso, si intitola Il mondo come volontà e rappresentazione).
In pratica la sensazione è che spesso (se non sempre) la percezione e la conseguente esperienza della realtà che noi abbiamo sia mendace o, almeno, ambigua.
Illusoria, appunto.
Che il nostro vivere sia un po’ come sognare. Bello o brutto, poco importa: è comunque altro dalla verità.

«Non t’assale mai il dubbio, o sognatore, che tutto 
può essere velo di maya, illusione?»
Walt Whitman

IL VELO DI MAYA: IL LIMITE DELLO SGUARDO

Per come affrontiamo e articoliamo il nostro mondo oggi, noi siamo… animali visuali. O, almeno, crediamo di esserlo*. Siamo soliti considerare la vista come lo strumento più prezioso e, spesso, è il più utilizzato per percorrere e affrontare il mondo. Lo sguardo costruisce o nega relazioni e tradisce sentimenti e pensieri. Gli occhi sono… lo specchio dell’anima (si fa per dire!).
Che succede, allora, se il nostro sguardo è appannato?
Se i nostri occhi sono bendati?
Se la nostra vista è velata?

«Il compito non è vedere quanto nessuno ha visto ancora,
ma pensare quello che ancora nessuno ha pensato su ciò che tutti vedono.»
Arthur Schopenhauer

OLTRE IL VELO DI MAYA: UNA NUOVA ATTENZIONE

Nella tradizione orientale delle arti marziali esiste un concetto prezioso per tutti. Si scrive 八方目, si legge happò-mòku e significa ‘guardare in otto direzioni’, alludendo a una pratica del guardare a 360°, una qualità di attenzione superiore, che sta tra l’ascolto e l’allerta**.
Arti marziali a parte, quando si affronta un conflitto (o la vita!), è utile acquisire questa competenza.
Per allenarla, nulla di più semplice che ‘oscurare’ temporaneamente il senso che crediamo più potente, spesso il più utilizzato. Bendarsi, per allertare gli altri sensi. Chiudere gli occhi per aprire meglio le orecchie, il naso… Non guardare per imparare a sentire, gustare.

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Sentire di essere madre – Il velo di Maya

CON IL VELO DI MAYA: UNA NUOVA ESPERIENZA FOTOGRAFICA

Io sono giunta a pensare che la fotografia sia una metafora della vita e che la pratica fotografica possa essere un ottimo strumento per migliorare ed evolvere come persone, a tutto tondo.
Happò-mòku.
Per questo ho voluto proporre ai miei allievi e allieve l’esperienza de Il velo di Maya.

Il set è semplicissimo:
• Un cartoncino 100×70 cm per fondale
• Una lampada nuda frontale (voglio una luce dura, che contrasti con la morbidezza del fuoco)
• Fotocamera a cavalletto
• Obiettivo 100 mm macro.

Le regole del gioco pure:
• Si sceglie il fondale del proprio colore preferito (perché ogni ritratto parla di sé)
• Ci si benda con un foulard di un colore a contrasto
• Inquadratura a mezzo busto, comprensiva anche dell’ombra
• Soggetto fuori fuoco (q.b.).

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Nostra Signora della Giustizia – Il velo di Maya

IL VELO DI MAYA: GIUSTO O SBAGLIATO?

Alla luce (!) dell’esperienza fotografica fatta, ciò che chiedo a chi partecipa al progetto è di riflettere su due serie di domande.
Una relativa alla fotografia e al linguaggio fotografico:
• Una fotografia fuori fuoco è sbagliata?
• Perché potrei desiderare farne?
• Che cosa aggiunge e cosa toglie la sfocatura del soggetto?

L’altra relativa al concetto e alla pratica del ritratto:
• Un ritratto senza occhi (sguardo) è comunque un ritratto?
• Che effetto fa essere ritratti bendati?
• Da bendati si è più o meno presenti all’azione (lo shooting)?
• Riesco a percepire la luce che mi investe nello scatto?
• Con quali sensi percepisco l’attimo dello scatto?

A ben vedere (!), però, quest’esperienza ci interroga a più ampio raggio (happò-mòku, di nuovo).
Ci interroga come (s)oggetto del ritratto, come sguardo (fotografico e non) che inquadra, ma anche e soprattutto come uomini e donne. Persone.
• Quanto è importante per noi vedere chiaramente, prima di affrontare qualcosa?
• Quanto siamo capaci di affidarci allo sguardo altrui?
• Quanto siamo curiosi di andare oltre il primo sguardo?
• Quanto ci interessa e ci ingaggia ciò che non capiamo a colpo d’occhio?
• Che cos’è per noi verace, autentico, attendibile?
• E che cosa è falso, insincero, erroneo?

«Le mie fotografie sono più domande, che risposte. Per me la fotografia è un modo per capire perché sono qui. La fotocamera mi aiuta a vedere.»
Trent Parke

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Nella stessa direzione – Il velo di Maya

PARTECIPA AL PROGETTO IL VELO DI MAYA

Il velo di Maya, come si diceva, è un progetto in corso di realizzazione.
Mi piacerebbe mettere insieme un corpus significativo entro il mese di novembre di quest’anno (2018), per poi tirare le fila del discorso ed esporre i risultati.
Chi volesse partecipare non ha che da contattarmi per un appuntamento.
La partecipazione è libera e gratuita.
A voi resterà l’esperienza, un trittico (un file leggero, ottimizzato per il web) e una stampa in ricordo (formati diversi a seconda delle condizioni e luoghi di esecuzione dell’esperienza!).
A me resteranno i file originali (se non li cancello!***) e il diritto d’uso illimitato degli stessi.

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* «Come abbiamo accennato, solo il 10% delle informazioni che il cervello utilizza per vedere deriva dagli occhi. Il restante 90% deriva da aree diverse del cervello. […] in termini di flusso informativo, quindi, i nostri occhi hanno ben poco a che fare con il vedere.» Beau Lotto, Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo (ed. Bollati Boringhieri). Libro meraviglioso e meravigliante che consiglio vivamente.
** Questo è l’insegnamento principe che ho ricevuto dalla mia purtroppo breve frequentazione di un corso di Shorinji Kempo (molto bello, ma poco adatto alle mie… articolazioni!) e di cui sarò per sempre grata al Sensei Claudio Pozzi.

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La mia famiglia I – Il velo di Maya

*** STAMPARE PER NON DIMENTICARE
Piccolo corollario e reminder: stampate le immagini che amate!
All’esordio del progetto Il velo di Maya – come spesso accade a casa mia – le prime cavie immolate sull’altare dell’arte e della creatività sono i miei più stretti familiari: mio marito e le mie figlie.
Quando più, quanto meno di malavoglia, si prestano spesso agli esperimenti più strani.
Il che è bene, per almeno due motivi.
Mi aiutano.
Ho delle foto di famiglia bizzarre per i miei album.

Se non le perdo, però.

Si dà il caso infatti che, proprio al termine della primissima sessione de Il velo di Maya, tutta soddisfatta nel vedere che il progetto ha un suo senso (estetico oltre che concettuale) e che comincia già a prendere corpo… non so come e non so perché, cancello i file originali dell’intera sessione.

Cancello.
Sì.

I file originali.
Tutti.

Lo so.
Non si fa.

Eppure.
È successo.

Quindi?
Quindi niente: son persi. Dovremo rifare una sessione analoga, che non sarà mai la stessa ma pazienza…

E queste immagini?
Come faccio ad averle?

Perché – fortunatamente – prima di fare mosse strane, distruttive e definitive, le ho stampate!
Piccole, purtroppo.
Ma su carta pregiata e con inchiostri durevoli: fine art (o, come si dice nel mondo del digitale, giclée).

E son contenta! Perché non sono andate perse e, anzi, risultano ora ancora più preziose in quanto non riproducibili (non alla stessa stregua che se avessi ancora i file originali!).

Quindi.
Stampate le immagini che amate.
Stampatele e incorniciatele.
Stampatele e custoditele in un album.
Stampatele e appiccicatele sul frigo.
Stampatele e regalatele.

Comunque.
Stampatele.

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