Beirut Basilico Alle Bonicalzi

BASILICO, BEIRUT… E IO

Ieri si è spento Gabriele Basilico, grande maestro della fotografia italiana. Paesaggista delle città come soggetti. Personificate. Pulsanti nell’assenza (o quasi) dei loro abitanti.
Tra esse Beirut, fotografata nel 1991, ferita a sangue da oltre vent’anni di guerra civile, eppure viva, nel lavorìo di una decisa ricostruzione.
Io amo il Libano, terra natale di una delle mie migliori amiche; e ho amato Beirut, che ho visto per la prima volta nel 1999, neanche dieci anni dopo Basilico.
L’ultima volta, invece, ero in viaggio di nozze.
Sicuramente ho visto una città diversa, eppure i segni delle esplosioni, delle bombe, i palazzi crivellati di colpi, le voragini aperte nel cuore del tessuto urbano c’erano ancora… Accanto, nuovissimi e altissimi palazzi scintillanti.
La mia Beirut era ancora ferita, ma il mio sguardo non riusciva a staccarsi dalla gente, non poteva fare a meno di chiudersi sul dettaglio, sul ritratto intimo…

Quando invece guardo la Beirut di Basilico – o le altre sue città – non posso fare a meno di pensare a quanto l’occhio (del fotografo, ma non solo; dell’uomo, direi), lo sguardo sulle cose possa essere diverso.

Dal maestro, dal suo modo di contemplare il silenzio, io voglio imparare ad allargare l’inquadratura, a dilatare il tempo, a fermarmi nell’attesa*…
Un tipo di fotografia molto lontana e diversa dalla mia, eppure un insegnamento prezioso: per crescere come fotografa e come persona.

Grazie Gabriele.

………

*La dilatazione e l’attesa oggi convergono nel mio lavoro sulla maternità e sulla tecnica del light painting.
Sebbene io non abbia abbandonato (mai!) la mia vena narrativa e il reportage stra-ordinario.

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