
DI DEE E DI DEI – LE CARTE DEI 15 ARCHETIPI
Di Dee e di Dei è una serie fotografica in light painting nata dall’unione di due serie relative rispettivamente agli archetipi del femminile (Di Donne e di Dee, 2015) e del maschile (Di Uomini e di Dei, 2020). Oggi questa serie è diventata anche un mazzo di carte, con i 15 archetipi e 15 ‘carte di identità’ per riconoscerli. Ne parliamo con Veronica Cortinovis, psicologa, che le utilizza in formazione.
Intervista a Veronica Cortinovis, psicologa, formatrice e business coach
Tu sei una psicologa, dal un punto di vista delle scienze umane che cosa sono e a cosa possono servire gli archetipi?
Per estrema sintesi, sapendo di sacrificare il complesso e ricco pensiero di maestri come C.G.Jung, J. Hillmann o E. Neumann per citarne solo alcuni, gli archetipi sono immagini universali, modelli originari che in parte guidano il nostro comportamento e di cui spesso non siamo consapevoli.
Quando nel mio lavoro formativo ‘uso’ gli archetipi, invito a fare un viaggio dentro di sé per prenderne atto, per diventarne consapevoli e imparare a padroneggiarli. Attraverso gli archetipi propongo di fatto alle persone delle metafore per riconoscersi e per narrarsi a sé e al gruppo.
L’uso del modello o dello strumento è comunque molto vincolato dal contesto che ne definisce lo scopo: nel mio caso i contesti in cui uso gli archetipi sono quelli della formazione, della supervisione e del coaching in cui l’obiettivo è lo sviluppo della conoscenza e del potenziale individuale e di gruppo.
Un uso degli archetipi, ad esempio, in psicoterapia, dove lo scopo è la cura, richiederebbe un lavoro completamente differente.
Tu sei una formatrice, so che sono molti anni che utilizzi i mazzi di carte nel tuo lavoro. Di che tipo sono e a che cosa ti ‘servono’?
Come formatrice, ma anche come supervisore uso spesso le carte nei gruppi, con lo scopo di facilitare la comunicazione e prendermi cura della ‘manutenzione’ del gruppo nel tempo.
Le carte che utilizzo sono di diverso tipo: alcune le costruisco io, altre le acquisto, altre ancora nate con una finalità diversa, le riutilizzo per lo scopo formativo che mi prefiggo. In generale le carte hanno sempre immagini evocative, alcune possono essere più esplicite e immediate nel rappresentare il costrutto, altre più ambigue e interpretative.
Se il lavoro è orientato alla costruzione di un nuovo gruppo e i partecipanti si conoscono poco, ad esempio, preferisco usare carte con immagini più esplicite perché le persone si sentono più al sicuro, padroneggiano meglio i contenuti e i significati di quello che condividono e non si vivono ‘sotto analisi’. Nei gruppi più rodati, utilizzo più facilmente carte con immagini più ambigue perché, pur entro i limiti del contesto formativo, le persone possono condividere con più libertà emozioni, vissuti e letture di sé.
Le carte sono maneggevoli e molto versatili usate in formazione e in supervisione: aprono una conversazione con e nel gruppo, forniscono ai partecipanti stimoli di consapevolezza e di riflessione su di sé e sulle dinamiche del gruppo e sono foriere di feedback importanti sullo stato di salute del gruppo o sulla fase del processo di costruzione del gruppo.
Tu sei una business coach, esperta di team building.
Io associo molto il mio lavoro in light painting e questo mazzo di carte al concetto di ‘gioco’, inteso anche e soprattutto come ‘messa in gioco di sé’.
È un’idea che ritrovi anche nel tuo lavoro con i gruppi?
Assolutamente sì. È per me centrale il concetto di gioco. Con una forzatura teorica potremmo dire che le carte sono l’archetipo del gioco nella nostra cultura.
Sono convinta che anche nel lavoro psicologico con gli adulti sia fondamentale passare attraverso il gioco perché è un veicolo di piacere e consente di apprendere e di maturare in modo più naturale e più efficace.
A volte invento le regole del gioco, altre volte attingo proprio dai giochi di carte classici.
Per fare un esempio concreto uso le regole del Tangram o del Domino per costruire una ‘gestalt’ di gruppo, ovvero una figura che dice moltissimo rispetto a come il gruppo sta in quel momento, quali sono i suoi ‘nodi’ e i suoi ‘snodi’ – come li definisco io: le criticità e le risorse del gruppo.
Ci sono però delle regole trasversali nei miei giochi che metto in chiaro prima di ogni formazione o supervisione:
- ognuno può parlare solo di sé a meno che non sia indicato nel compito o concordato nel gruppo;
- bisogna sospendere il giudizio e dare apporti sempre costruttivi;
- infine ognuno è responsabile di se stesso e di quanto dice e condivide nel gruppo.
Da alcuni anni utilizzi già queste sette immagini in light painting degli archetipi del femminile (Di Donne e di Dee): come le utilizzi? Che ‘risultati’ danno?
Ho usato gli archetipi del femminile con gruppi che si conoscono bene e da tempo, per lavorare sulla consapevolezza di sé e delle dinamiche del gruppo.
Come immagini, ho utilizzato le tue splendide foto* Di Donne e di Dee e una breve descrizione psicologica dell’archetipo presa in parte dal famoso lavoro di J.S. Bolen e in parte dalla mia esperienza.
Normalmente propongo un lavoro di consapevolezza circa le proprie ‘zone d’ombra’ – ciò che ci piace di meno di noi stessi e che tendiamo a tenere nascosto – e le proprie ‘zone di luce’ – ciò che ci rende fieri e che vogliamo condividere – chiedendo chi partecipa di scegliere tra le immagini e illustrare al gruppo le proprie scelte e le motivazioni.
I risultati sono tanti quanti gli scopi.
Il gruppo conversa e si rivolge a sé, ci si conosce meglio, ci si capisce di più, ci si lega di più e si vive un’esperienza piacevole.
Ora che hai a disposizione anche le otto immagini in light painting degli archetipi del maschile (Di Uomini e di Dei) come progetti di utilizzarle? Insieme o in gruppi distinti?
Sicuramente insieme per due motivi: sia perché i gruppi di operatori sanitari o educatori con cui lavoro sono normalmente misti sia perché credo nello scambio e nel confronto tra generi. Ho poi un’altra convinzione: il riconoscersi in un archetipo maschile piuttosto che in uno femminile non è necessariamente legato all’essere uomo o donna.
Per questo, ad esempio, a mio marito ho regalato il tuo lavoro con protagonista Persefone (la stampa fine art nel formato 33×48 cm su passepartout – n.d.a. –) perché in quel momento mi sembrava parlasse a lui e di lui.
Tu, come me, ami l’arte. Che cosa per te è speciale dell’esperienza estetica? A cosa può ‘servire’ o perché può ‘aiutare’ accanto a esperienze differenti, squisitamente razionali o strettamente funzionali?
L’arte mi ricorda mia madre che la insegnava nelle scuole e che da piccolini ci portava di chiesa in chiesa, di mostra in mostra per farcela conoscere. Credo che sia per questo che amo molto l’arte. Non amo tutta l’arte però: amo quell’arte che, come la poesia ermetica, sa esprimere tanto con poco e che sa essere una sintesi della complessità.
Per me l’arte è un’esperienza emotiva prima che essere un’esperienza estetica.
Le fotografie* della serie Di Dee e Di Dei sono questo per me: un’intensa avventura emotiva.
Poi sono anche molto belle.
L’arte è preziosa nella formazione ed io la uso spessissimo nelle mie aule e con i gruppi perché stimola un’esplorazione visiva, sensoriale, emotiva molto diversa rispetto a quella più razionale che si attiva, ad esempio, quando si fanno domande. L’arte come strumento di formazione è molto vicino al gioco perché attiva il piacere nell’apprendimento.
Quindi quando l’arte è nelle carte da gioco, il formatore ha qualcosa di molto potente in mano.
Che cosa, secondo te, ‘funziona’ delle immagini in light painting che caratterizzano questo mazzo di carte (Di Dee e di Dei)? Perché possono ‘parlare ad altri e altre’ anche se sono frutto del lavoro di una singola persona?
I buoni risultati del mio lavoro con gli archetipi sono legati molto all’intensità delle tue foto* che consentono di ‘richiamare’ l’archetipo, ma non costringono dentro l’archetipo. La modalità che hai usato per farle – il light painting – è per me stata l’ispirazione del lavoro di consapevolezza sulle zone d’ombra e di luce.
Io faccio scegliere l’immagine in modo istintivo e solo poi do accesso all’interpretazione psicologica dell’archetipo. A quel punto ognuno è libero di scegliere se tenere l’immagine o cambiarla. Sai che la maggior parte delle persone tiene le immagini e non le cambia?
Qual è la tua opera preferita tra le Dee e perché?
Sicuramente Persefone. Mi affascina e mi inquieta contemporaneamente e se mi soffermo sulla sua immagine e sul velo che le copre gli occhi, non riesco a distogliere lo sguardo. Mi attrae e incuriosisce. Mi chiedo: vuole togliere o tenere il suo velo? Ed è una questione importante nella relazione con gli altri: quando è bene svelarsi, quando è bene tenere il velo. Persefone esprime, inoltre, un aspetto importante del mio lavoro di psicologa che nel mio sito ho descritto con la figura della psicologa funambola in costante equilibrio tra due mondi, tra due scelte proprio come Persefone: tra consapevolezza e inconsapevolezza, tra sé e l’altro, tra tenere e lasciar andare, tra simmetria e asimmetria, tra scopo e mezzo, tra guidare e farsi guidare.
E tra gli Dei, quale opera ti colpisce di più e perché?
Efesto, l’artefice. La palla di fuoco che tiene in mano trasmette potenza, vitalità, istinto ma il tutto finalizzato alla costruzione di ciò che è utile per gli altri. Mi piace il suo anti-eroismo e il suo stare in retrovia. Mi si addice.
Esprime probabilmente la mia zona d’ombra e di luce contemporaneamente.
Che bello che, nella tua esperienza, uomini e donne non si identifichino unicamente con i corrispettivi archetipi (maschili per gli uni e femminili per le altre) bensì è possibile (e auspicabile!) che ogni persona attinga a ciò che desidera o di cui ha bisogno.
Il riconoscersi in un archetipo maschile piuttosto che in uno femminile non è necessariamente legato all’essere uomo o donna. Veronica Cortinovis, psicologa
Grazie per il tuo tempo, la tua professionalità e la condivisione.
E grazie per aver scelto il mio sguardo e fortemente voluto questo mazzo di carte.
Per acquistare un mazzo di carte
Di Dee e Di Dei: scrivimi!
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*Con la pratica si è visto che può essere utile accompagnare il lavoro con le carte con il confronto con stampe fine art delle opere originali, in un formato più grande (minimo 15×21 cm). Disponibili su ordinazione, in tiratura limitata (35 cofanetti).
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